PALAZZO TRAMONTANO
I nomi traduce in numeri
mia madre
attenta, là
sull’uscio ad attendere.
Il caffè
già pronto per tutti
e un sorriso
che castiga
la malinconia. Antica
madre, squarcio
d’ansia vitale
tra i nembi
del quotidiano ardire,
fragile espressione
del consumabile diuturno,
aspetti il segnale
d’un incontro
per viltà rimandato
o per abitudine
alla vita
che ci hai trasmessa
ignara come in te
fosse
già dismessa.
Luglio 2004
 
  
PAGANI
Non mi è bastato il tuo cuore
di argilla e di foglie, icona sigillata
ad un amore autunnale… la brezza
della poesia mi confermava lieve il mistero
ma più forte fu l’invidia. L’invidia
per un mondo disegnato e inerte, preghiera
pacata al mattino, bestemmia
sincopata la sera. La sera
che si adornava di lucciole e zanzare
mai stanca di finire, pronta
ad impacchettare sogni, deludere
attese, estinguere speranze. Speranze
che a nuovo giorno altra vita
avrebbe dato splendore e orgoglio
ai gesti della fretta (o crudeli inganni):
faccia rasata e caffè senza
zucchero, camicia stirata e cravatta
in tinta, un bacio al figlio:
spregiudicate iperboli della noia.
 (agosto 2004)
 
 
CAMPO IRO
Primo fiore odorato dalla terra
succhiato alla vita, sbocciato
consumato da un soffio maldestro.
Non più acqua che satolli
la tua sete, non sguardo di ragazza
che s’ammalii, o godimento all’ape
sedentaria: e striscia già nella tua ombra
un ricordo, ameno trastullo all’incombere
di un quotidiano accecato
dall’impostura. E siamo io e te, io
recido, tu mi sopravvivi.
 (settembre 2004)
 
  
  
VERSO CORBARA

 

(a Gaetano Califano, amico e mentore)
Là dove il passo del tornante sale
e stringe all’asciutto della curva
mite l’occhio della brezza rasserena
lo sguardo alla sera… verso Corbara.
Ci stiamo aggrappando agli anni, vecchi
giovani ingordi di speranza… mentitori
di noia: quando lieti, quando pensosi
a picchiare il ferro dell’attesa
perché diventasse rovente giudizio,
intrepido fare. Adesso
arranchiamo, ma il golfo arride ancora
là dove il passo del tornante inclina
alla piana dei defunti. E c’è
un solo tempo per noi: quello vissuto.
(ottobre 2004)
 
 
  
 
29 GIUGNO 2005: QUARANT’ANNI DOPO
 
Antica è la soglia
dell’attesa, come
la tua vita: la tua morte.
Incerto il passo dell’inganno
che fu: che è.
Aspra, la via del rimpianto
avvilisce: deprime
rivolte. E il poi diventa oltre
carta che non puoi giocare,
dado tratto per il solo
perdente, occhio
spalancato nel buio.
Ora che vieni a passare
del silenzio il guado
dove io ti attendo
da sempre: per sempre!
 
 
 
  
IL RITO CHE SI È SPENTO
Nacqui forse da mare
in tempesta trascinato
da rabbie spumose
sulle scogliere di Cetara,
ma fui cullato da un sorriso
incantato e fragile, cornice
di gaiezza che coniugava
l’alba con il tramonto
e ogni notte inventava notte
abitata da sogni immeritati.
Per me incominciò
il rito della vita, pudica
gioia sommessa, attenta
a non produrre alibi forti
alla coscienza della felicità
castigata in altre epoche
remote e ingiuste.
Per me incominciò
disadorno andare per certezze,
il rito che avvinse l’uomo rude
e lo trascinò, con grazia
dissimulando il preciso intento
a cogliere il segreto
di quell’avventura
che si sarebbe chiamata
tempo dello stare insieme:
sapore di labbra
dischiuse ad un solo amore
ma frementi di tutti gli altri
passati e da venire.
Adesso le luci si ritirano,
i clamori si spengono
e i brusii allineano larve
d’inquietudine su costati aperti.
Il rito si è spento. Come
a teatro e l’attore che fui
versatile e mai balzano
è pronto a balzar fuori dal sipario
a cogliere lo sparuto applauso
dell’unico spettatore
pietoso all’ascolto del suo silenzio
e con un inchino sussurrare:
"Grazie! L’esibizione
non avrà repliche".
1° giugno 2005

 

E IL GIORNO PRENDE FORMA
 
Rassegnati in un abbraccio
abbiamo scorticato dal sonno
ombre acconciate nell’inespresso.
… E il giorno prende forma
dal tuo sorriso.
Ora che rientro dall’esilio
delle norme conosciute e dimenticate
sto come una nuvola serena
arrampicata sull’azzurro,
fino a quando un soffio d’aria
mi farà gemere d’incanto
e nostalgia: saprò allora
d’essere stato anche felice.
  
Luglio 2005
 
  
… e sapere d’esserci
… e sapere d’esserci
anche nell’assenza
quando il pensiero
soffoca passi
nel procedere insieme
e il respiro delle cose
si fa tremulo
segno del giorno.
 Luglio 2005
 
 UN AEREO E LE NUOVOLE
Tra le nuvole sali, dentro
un sole che ti acceca, dietro
un vetro che s’impregna
della tua anima ferita.
Sulla banchina dell’aeroporto
un uomo solitario
come una moneta
nella mano dell’accattone,
lo sguardo già appannato
a una storia che s’è persa.
E si gela nella stretta
di un rimorso, perché sa
non potrà più accarezzarti.
Poi l’aereo svanisce
e l’uomo torna a casa
più vinto e già battuto.
In un quartiere prepotente
di ladri, tossici e puttane
dove la pace nasconde
l’intrigo della rissa.
In una stanza solitaria
d’albergo a mezza stella
trovo tutti i miei ricordi
aggrappati sullo specchio,
mi butto nelle lenzuola
bagnate di seme e di rabbia,
strofino sotto al naso
le tue mutande smesse
lasciate in pegno
ad un amore finito, scivolate
via da un corpo stanco:
le voglie ancora ardenti
ma assopiti i desideri.
So che le ore passano veloci
tra un cruccio e un po’ di fumo
e l’alba arriva in corsa,
col taxi ordinato per citofono
insieme alla colazione
per prenderti e portarti via.
Ma lo avevi già deciso
quando i resti di una cena a due
tra esauste candele e una rosa
ben sfiorita ci hanno consegnato
il premio della resa
e mi hai detto è stato bello…ma.
E il ma l’ho continuato io.
Luglio 2005

 

 

COSA CI STA DENTRO
Cosa ci sta dentro un sogno?
Pochi attimi di tempo
o l’eternità, non l’ho mai capito.
Forse una manciata di entusiasmi
da pronunciare con sentimento
e rassegnazione come le preghiere,
qualche invettiva da scagliare
al prossimo antagonista, una sola
immagine dell’andare per glorie,
qualche gioco di parole
per una gestazione di emozioni,
il trambusto
degli eventi che non puoi controllare,
la tristezza di aver smarrito il principio,
la curiosità di guardare dentro al buco
respinta dalla dilatazione dello stesso.
Cosa ci sta dentro un sogno?
E ci sei tu, per caso
(altra mia vanità)
in attesa che mi risvegli.
Agosto 2005
 
   
TI CERCO
Ti cerco
fanciulla
come spasmo del mare
in tempesta.
Gli occhi sbarrati
ad un cielo confuso
oltre la terra che giace
attonita
tra la costa e la costa.
C’è sentore di pace
minacciosa
tre le tue cosce
vergini, intoccate
se non da brezze carnali.
E il canale che mi condurrà
al varco della tua anima
burrascosa
è umido, caldo, e schiuma d’attesa
mi porge un sussulto, poi
un diniego e un altro
sussulto ancora e
cede, e tu cedi crucciata
preda del tuo vincere.
Il tuo desiderio è
appagato dalle mie spinte
nel delirio, mentre affogo
nell’intemperie del tuo fiato
esile all’ascolto del prossimo
soffio che porterà
la tua ansia di avermi
a riscaldarti i seni
col mio respiro
senza aria, seccato
dall’attesa e spento
al disadorno rincorrersi
dei capricci della carne.
Ti so dire solo,
un sussurro men che taciuto,
amore: parola declassata
sull’impero del tuo corpo,
mia impunità lasciva
prigioniera d’un peccato
che già m’ha perso.
Raffaele Aufiero
Novembre 2005

 

 

I CORTILI DELLA MEMORIA
(Alle donne della mia infanzia, versate nell’arte antica della conservazione del pomodoro)
 
La calma soddisfatta di agosto
si rapprende densa alla memoria
attorno ad un ricordo imposto,
stretto nella sostanza della storia.
Mani antiche vedo, e soffrono
al rimestìo umido del setaccio;
ed anche sughi rossi che scorrono
al giro lento, ampio, d’ogni braccio.
Con foglie di basilico la voglia
poi d’un aromatico profumo
frulla dentro un collo di bottiglia,
si addensa subito ad un grumo
dal sapore antico: sa di sole.
E le ore adducono il riso
agli sguardi delle donne. Isole
d’amore, hanno gioia nel viso
stanco, ma consolato da carezza
antica. Attendono la bella luna
a sera, aggrappata sulla brezza,
che le racconti ad una ad una.
 
Ottobre 2005
 
LE TRE CARTE
Antico è il gioco
come il respiro dell’uomo
all’alba: qui si vince,
qui si perde. Mai indovini
dove il destino posa
tra entusiasmi beduini,
malinconie tagliate
a tocchi grossolani
e apoteosi di passioni.
Qui si vince, qui si perde:
l’abile scarto delle mani
sintetizza la speranza,
confonde animi
al colpo d’occhio distratto
induce alla stanchezza
i sensi.
Nello scatto del cartaio
trionfa inganno: qui si perde
e basta!
 Natale 2005
 
 
Vorrei dormire con la luna
specchiata nel tuo sonno
ma l’attesa di saperti vicina
ottunde lo slancio del vivere.
Spero che domani
il vento acqueti l’ansia
d’una bocca che cerca il respiro
da un sogno.
Se mi tocchi non sai
chi sarà a farti trasalire
alla prossima unione,
ho solo un’ansia che scuote
la carne, ma gela lo spirito.